Sono tante le domande che vengono poste quando si parla di omicidio, ma una fra tutte spicca con più insistenza:
Come può una persona, apparentemente normale, arrivare ad uccidere qualcuno?
Ovviamente non esiste una risposta semplice a questo quesito, ma proverò a partire dal principio analizzando due casi di cronaca che hanno suscitato parecchio sdegno e preoccupazione.
Prima di tutto partiamo col dire che i motivi per cui si giunge ad un omicidio sono differenti. Si uccide per sesso, soldi, gelosia, invidia, droga e quant’altro.
Come ho detto in precedenza, questa volta ci concentreremo su due casi di cronaca collegati fra loro da un filo sottile ed invisibile.
Sto parlando di due sentimenti: l’invidia e la gelosia.
Spesso, questi due sentimenti, vengono confusi fra loro, ma vi assicuro che la differenza esiste anche se non è sempre facile riscontrarla. Secondo gli studiosi, la gelosia coinvolge sempre un terzo soggetto, colui che viene considerato come “rivale”, mentre l’invidia è un sentimento che tende a manifestarsi fra due persone. Ma cerchiamo di essere più specifici: l’invidia è quello che un soggetto prova quando vede un parente, amico o un semplice conoscente ottenere un vantaggio che egli non ha. La gelosia, invece, riguarda la paura di perdere qualcosa o qualcuno ed è legata molto di più al possesso.
Visto che ho sempre preferito la pratica alla teoria, vediamo come si applicano questi concetti (o meglio sentimenti) ai casi di cronaca nera.
Caso n.1
Duplice omicidio di Via Montello
Avrete sicuramente sentito parlare di Antonio de Marco, il 21enne che, il 21 settembre del 2020, uccise con oltre 60 coltellate Daniele De Santis e Eleonora Manta (la fidanzata), nella loro abitazione di via Montello (Lecce).
Dalla confessione riportata su diverse testate online si evince quanto segue:
Ho ucciso Daniele ed Eleonora perché erano troppo felici e per questo mi è montata la rabbia…
E prosegue:
Ho fatto una cavolata e so di aver sbagliato
Dalle prove rinvenute all’interno della sua abitazione, inoltre, si è potuto stabilire una premeditazione dei fatti. Antonio De Marco sapeva quello che stava facendo, lo aveva pianificato ed il disturbo narcisistico della personalità non escludeva la capacità di intendere e di volere.
Ma cosa ha spinto il 21enne ad uccidere due persone con cui aveva condiviso l’appartamento? “Erano troppo felici”, secondo l’omicida nessuno lo amava; dunque, nessun altro al mondo avrebbe dovuto provare quel sentimento. Invidia e gelosia si mescolano creando un cocktail letale. Ovviamente non sono solo questi i fattori che hanno portato Antonio a commettere il duplice omicidio, ma sono sicuramente due elementi da tenere in considerazione.
Vi allego un breve estratto dai diari di Antonio De Marco:
https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/quartogrado/la-mente-di-antonio-de-marco_F310603901014C15
Caso n.2
L’Omicidio di Stefano Leo
23 febbraio 2019, Said Mechaquat si trova in un vialetto sul lungo Po di Torino, quando, ad un certo punto, incontra Stefano Leo. Il giovane 34enne si stava recando al lavoro quando fu raggiunto dal killer che, con un coltello acquistato poco prima, lo colpì alla gola. Said sapeva che quel giorno avrebbe portato a termine quell’atto così violento, ma la vittima sarebbe stata scelta a caso.
L’ho ucciso perché era giovane e felice, volevo farla pagare alla città di Torino e volevo fare qualcosa di eclatante!
Queste furono le sue motivazioni.
Come potete notare, Said sapeva quello che stava facendo, inoltre il 18 aprile del 2018 era stato condannato a 18 mesi in via definitiva per maltrattamenti nei confronti della compagna. Eppure, dopo oltre un anno, si trovava ancora a piede libero.
Un ritardo nell’applicazione di una Sentenza che, senza volerlo, ha causato la morte di un giovane!
Il 27 ottobre del 2021, la Corte di Assise di Appello di Torino ha comunque confermato la condanna a 30 anni di carcere per Said.
Facciamo alcune considerazioni
Come avrete potuto notare i due casi hanno degli elementi in comune: la premeditazione ed il movente. In entrambi i casi l’offender risulta capace di intendere e di volere, inoltre mostra un profondo senso di frustrazione nei confronti del mondo esterno. I due soggetti si sentono vittime di un sistema che ha deciso per loro e giustificano la loro violenza come se fosse solo una reazione ad un trattamento ingiusto. Come ho detto precedentemente la gelosia e l’invidia non sono gli unici elementi capaci di scatenare una follia simile, ma sono comunque due fattori importanti. Quello che ho sempre cercato di evidenziare è che una singola caratteristica o elemento “scatenante”, non basta a far convertire la rabbia in istinto omicida. Nessuno di noi nasce cattivo ed ovviamente il fattore genetico può influenzare in parte il nostro atteggiamento, ma non può di certo tracciare con certezza il nostro personale profilo comportamentale.
Questo cosa vuol dire?
Ci sono innumerevoli fattori in grado di influenzare il nostro comportamento. I miei studi mi hanno portato a comprendere come la maggior parte dei Serial Killer e criminali abbiano un passato comune: violenza, droga, prostituzione, povertà, insicurezza, educazione in ambiente ostile. Crescere in un ambiente violento può aumentare la percentuale delittuosa del soggetto coinvolto. Ovviamente ci sono delle eccezioni a questa teoria, ma se torniamo ad esaminare i due casi di cronaca precedentemente delineati, possiamo certamente affermare quanto segue:
- Antonio de Marco ha una personalità disturbata, tende ad estraniarsi completamente dal mondo esterno e si rifugia in quello che ha creato su misura per lui. Non accetta critiche o confronti con altre persone e fa fatica ad instaurare dei rapporti interpersonali. Questa insicurezza gli causa non pochi problemi, soprattutto con il sesso opposto. Desidera con tutto se stesso una relazione, ma sa che questo non accadrà mai. La paura di non essere amato gli causa continue e dolorose frustrazioni. Secondo gli psichiatri che lo hanno seguito, egli non mostra alcun rimorso per quanto ha fatto, ma accetta semplicemente le conseguenze delle sue azioni. Inoltre, secondo gli psichiatri, questo duplice omicidio è stato solo “un esperimento”, una piccola prova che lo avrebbe certamente portato ad uccidere nuovamente.
- Di Said Mechaquat, invece, si sono dette tante cose. Le persone lo descrivevano come “un bravo ragazzo, cordiale”, altri lo dipingevano come “aggressivo, trasandato e pericoloso”. Insomma, come si può descrivere una persona in modi così contrastanti fra loro? La risposta è semplice: non si può pensare di conoscere una persona senza averla osservata attentamente, in più è un errore dichiarare come questo soggetto sia “cambiato dall’oggi al domani”. L’atteggiamento violento di Said risale a molti anni prima: dall’instabilità economica a quella sentimentale, dall’accusa di violenza nei confronti della compagna alle prime udienze in tribunale. Said ha asserito di aver tentato innumerevoli volte il suicidio, ha inoltre confidato di “sentire delle voci”. Ovviamente, basandoci sui fatti il suo gesto è stato premeditato e probabilmente immaginato nella sua mente già diversi anni addietro.
Insomma, la realtà dei fatti (e delle prove) dista particolarmente da quella profilazione creata ad hoc da chi tenta a tutti i costi di diminuire la pena del proprio assistito o da chi pensa solo ad aggiungere particolari romanzati pur di vendere qualche copia in più del proprio giornale. La verità si cela sempre nella spiegazione più semplice, ma il passato tormentato e le delusioni della vita non possono continuare ad emergere solo e soltanto a fatto compiuto. Prevenire questi terribili omicidi è possibile, soprattutto quando un comportamento è reiterato nel tempo.
Silvia Morreale
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Silvia Morreale
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