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Connecticut, 20 ottobre – Varcai la soglia del Marshall College, le gambe mi tremavano. Mancava poco all’intervista del secolo, quella che avrebbe segnato per sempre la mia carriera. Non potevo fare a meno di percorrere il corridoio avanti e indietro, come facevo ai tempi dell’università poco prima di un esame importante: ripetevo a mente gli argomenti, parlando a un pubblico invisibile e compiaciuto della mia grande esposizione. Questa volta, però, non avrei avuto un’altra occasione. Non potevo ritirarmi, mancare all’appello o correre a più non posso fuori dal college, come se fossi inseguita da un branco di rinoceronti inferociti. Avevo un compito da svolgere e lo avrei portato a termine, nonostante gli attacchi di panico e l’ansia perenne.

Stavo per completare il cinquantesimo giro del corridoio quando, ad un tratto, quella voce profonda e inconfondibile raggiunse le mie orecchie.

«Neo, che significa nuovo, e litico, che significa pietra. Allora, torniamo al nostro…» le parole del professor Jones rimbalzavano da una parete all’altra del corridoio.

Se fino a un momento prima avevo pensato di tagliare la corda, adesso mi ritrovavo a sbirciare all’interno dell’aula.

«Ora, come spesso avviene, la zona era già stata scoperta e depredata. In questo caso è stato asportato quasi tutto il contenuto del tumulo. È il destino dell’archeologo quello di vedere frustrati anni e anni di lavoro e di ricerche. Cercate di ricordarlo sempre…»[1] stava per proseguire, quando si accorse della mia ombra al di là del vetro.

«Se è in ritardo può raggiungermi direttamente nel mio studio, al posto di origliare come fanno i ragazzini!»

“Si può essere più idiote di così?” imprecai contro me stessa, mentre cercavo di raccogliere quel briciolo di orgoglio che mi era rimasto.

«P-professor Jones, sono Silvia. Ricorda? La ricerca sull’antropologia forense…» continuavo a sentire il pavimento come sabbie mobili, ma cercai di mantenere il corpo in posizione eretta.

«Ma certo, lei è la donna delle lettere. Me ne ha inviate talmente tante da farmi pensare che fosse una stalker, lo sa?» il suo sorriso mi spiazzò.

«Come vede, però, ha funzionato!»

Non potevo credere alle mie orecchie! Avevo appena pronunciato quella frase davanti al grande Indiana Jones, come se fossimo amici di vecchia data. Cosa mi era saltato in mente?

«Sì, molto divertente… va bene ragazzi, visto che la signorina freme così tanto dalla voglia di ascoltarmi, direi che per oggi è tutto. Ricordatevi di studiare bene i capitoli 7 e 8 per la prossima volta!» le sue parole precedettero il suono della campanella.

Si avvicinò tanto da farmi diventare paonazza. La sua espressione, apparentemente seria, lasciava trasparire quel velo d’ironia che lo contraddistingueva.

«Seguimi!»

Ancora un po’ intontita per la situazione imbarazzante, recuperai gli appunti per poi raggiungere il dottor Jones. Mi sembrava di aver corso la maratona quando, ad un tratto, mi ritrovai nel suo studio. Il professore aveva disposto una sedia in prossimità di una libreria e, dopo qualche istante, iniziò a togliere dei volumi dal secondo scaffale in alto a destra. Proprio come in uno dei suoi racconti, la libreria sembrava prendere vita: accompagnata dal suono tipico delle cose vecchie, lo scaffale avanzò lentamente verso di noi. Un piccolo varco si aprì davanti ai miei occhi, mentre il dottor Jones si intrufolò all’interno della fessura e svanì nel nulla.

«Ma che diavolo…» dissi ad alta voce.

«Vuoi fare la tua ricerca o quelle lettere erano tutte una scusa per farmi perdere tempo?»

Come se un enorme piede gigante mi avesse dato un bel calcio, mi precipitai all’interno di quel portale dei misteri.

E fu così che ebbe inizio la nostra avventura.

Teschi, reliquie e manufatti antichi mi si palesarono davanti, mentre un’infinità di fogli accatastati alla rinfusa seguivano le forme del mobilio in stile vintage.

«Allora, da dove cominciamo?» il dottor Jones spostò qualche libro per farmi posto in quella che, a poco a poco, assumeva le sembianze di una poltrona.

«Dottor Jones, lei è uno degli archeologi più famosi al mondo. Durante le sue ricerche so che ha parlato di quanto lo studio delle ossa possa raccontarci molto più di quello che pensiamo»

«Sì, credo di averlo detto effettivamente. Sai, noi archeologi, storici e avventurieri, siamo un po’ ossessionati dal passato. Quello che eravamo, quello che siamo stati, ci racconta qualcosa. Per non parlare dei tesori sepolti» il professor Jones si schiarì la gola, mentre gli angoli delle sue labbra presero il volo, lasciando intravedere il sorriso di chi ha scovato i tesori più belli del mondo.

«L’antropologia, stavo dicendo, ci permette di comprendere l’evoluzione umana» prese un libro dalla pila sulla scrivania e proseguì: «Anche se, l’antropologia forense ha una funzione un po’ più…interessante…»

L’antropologia forense, infatti, ci permette di analizzare in maniera approfondita i resti umani con lo scopo di fornirci informazioni utili circa le cause della morte di una vittima. Prove che, successivamente, possono dimostrarsi utili ai fini processuali. Gli antropologi forensi utilizzano metodi scientifici per identificare e analizzare i resti scheletrici e le tracce biologiche di individui deceduti al fine di determinare aspetti cruciali come l’età, il sesso, l’origine etnica e le possibili cause della morte. Questa disciplina è fondamentale, soprattutto nelle indagini per la risoluzione di casi di omicidio, o nelle catastrofi naturali e nei contesti archeologici in cui si trovano resti umani. In sostanza, l’antropologia forense contribuisce a gettare luce sulla vita e sulla storia delle persone, quel passato che, in un certo senso, aiuta anche gli archeologi nelle loro ricerche.

Dottor Jones, può spiegarmi in cosa l’archeologia si differenzia dall’antropologia forense?

Domanda interessante. Vediamo, se devo spiegarlo in poche parole direi che l’archeologia è tutto ciò che riguarda la caccia ai segreti sepolti nel passato, l’analisi di vecchi manufatti, reperti e iscrizioni. Si tratta di risalire alle storie delle antiche civiltà attraverso lo studio scientifico degli oggetti o dei resti che gli archeologi scoprono durante gli scavi nei vari siti.

L’antropologia forense, invece, utilizza tutti questi strumenti per stabilire le possibili cause della morte di una data vittima. Quindi, mentre l’archeologo si concentra sul passato per tracciare una linea temporale e comprendere appieno gli usi, i costumi e la storia di un popolo, l’antropologo forense funge da “detective”, dunque cerca di scoprire più informazioni possibili esaminando le ossa di un dato soggetto.

Insomma, un po’ come i profiler, che studiano il profilo psicologico e storico di un determinato killer, gli antropologi forensi hanno la capacità di risalire al momento della morte, stabilendo le possibili cause. L’antropologo forense, infatti, ci permette di individuare età, sesso, cause della morte, patologie e abitudini alimentari della vittima.

Come si sovrappongono o si integrano questi due campi nella pratica?

C’è qualche punto d’incontro tra i due. Pensa, ad esempio, a quando ci si trova a esplorare tombe antiche o siti archeologici. Spesso, si scovano resti umani tra i tesori nascosti. In situazioni del genere, gli esperti di antropologia forense vengono in nostro soccorso, analizzando quei resti per svelare dettagli sulla vita e la morte di chiunque sia stato sepolto in quel dato luogo.

Inoltre, in alcune occasioni, l’antropologia forense può essere un prezioso alleato per noi archeologi, soprattutto quando si tratta di risolvere misteri. Ad esempio, prova a pensare alla storia di Tutankhamon. In quel caso sono stati innumerevoli gli studiosi che hanno analizzato i resti del giovane faraone per tentare di capire le reali cause della sua morte prematura. Dunque, questa scienza permette di fare luce sulla vita quotidiana, le usanze e le abitudini dei popoli antichi.

Quali sono le sfide principali che gli archeologi e gli antropologi forensi affrontano nel loro lavoro?

Beh, ce ne sono alcune che ci accomunano. La conservazione accurata dei reperti e dei resti umani è una sfida costante. Dobbiamo fare di tutto per preservare la storia intatta, evitando di contaminare le nostre scoperte. Inoltre, una documentazione scrupolosa dei contesti archeologici è fondamentale per garantire l’affidabilità dei nostri risultati. Per quanto riguarda l’antropologia forense, le sfide sono amplificate quando ci imbattiamo in scene del crimine antiche o in situazioni di decesso misterioso. L’analisi di resti umani decomposti è un’attività che richiede tempo e precisione. Solo un professionista esperto può permettersi di analizzare in maniera accurata questi reperti.

Quali consigli darebbe a chi desidera intraprendere una carriera nell’archeologia o nell’antropologia forense?

A chiunque desideri seguire le mie orme, dico questo: prima di tutto, alimentate questa passione ardente per la storia e la cultura umana. L’istruzione accademica è fondamentale, quindi leggete, studiate, ma non dimenticate mai di mettere piede sul campo: la pratica è la parte più importante! Siate metodici, pazienti e rispettosi delle altre culture e cercate di apprendere il più possibile dal passato. Siate seri, ma non troppo. Buttatevi, siate folli e curiosi, in questo mestiere non guasta mai!

«Dottor Jones, la ringrazio per il suo tempo. Ora ho abbastanza materiale per proseguire le mie ricerche!»

Una volta spento il registratore, vidi il dottor Jones tirare fuori una specie di taccuino dal cassetto della sua scrivania.

«Questo è tuo, chiamami se scopri qualcosa di interessante!»

Così facendo mi consegnò quel cimelio dalle pagine sbiadite e mi accompagnò alla porta, poco prima di aggiungere:

«Ora, puoi chiamarmi Indi!»

Mentre passeggiavo tra le vie alberate del college iniziai a sfogliare le pagine di quel manoscritto misterioso, sicura che molto presto avrei preso parte ad un’altra incredibile avventura.


[1] Tratto da “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta”

Silvia Morreale

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